Il nome (anzi,
i vari nomi, di cui Napoli è come al solito prodiga)
dello strano edificio sono esattamente: "Cappella
Sansevero dei Sangro", ovvero "Santa Maria
della Pietà dei Sangro", ovvero ancora "La
Pietatella". Fu costruita come cappella sepolcrale di
quell'illustre famiglia da Giovanni
Francesco
nel 1590, ma quasi tutto ciò che vediamo oggi risale al
rifacimento del figlio Alessandro
(1631) e soprattutto ai restauri e alle decorazioni del
famoso pronipote Raimondo
(1744-1766). Un cavalcavia l'univa alla dimora avita: ma,
tanto per rientrare nei ranghi del mistero che aleggia intorno a
cappella e famiglia, esso crollò, senza una causa apparente,
nel 1889.
La cappella è un rettangolo abbastanza vasto, piuttosto una
chiesa, in realtà, con un presbiterio nel fondo. La struttura
è semplice e armoniosa, la decorazione è di una ricchezza
travolgente, sia per i fastosissimi affreschi della volta di Francesco Maria Russo con colori procurati dallo stesso don
Raimondo
che conservano un'incredibile vivezza, sia per l'apparato di
marmi, stucchi, ori che tutto riveste. tutte le sepolture sono
di grande bellezza ma le tre realizzazioni che le hanno dato
gloria imperitura (oltre agli scheletri delle due Macchine
Anatomiche
della cripta) sono la Pudicizia,
il Disinganno
ed il Cristo
Velato.
La Pudicizia
è il nome improprio dato al monumento funebre di Cecilia
Gaetani dell'Aquila d'Aragona, madre di don Raimondo,
morta in giovane età (La lapide spezzata); il Corradini,
per esprimere il concetto voluto dal principe della "pudicizia
velata", scolpì una bellissima donna nuda coperta da
un velo trasparente che la rende del tutto "impudica"
per la generosità delle forme opulente che giocano con le
pieghe del leggerissimo tessuto dando l'impressione "tattile"
di un vero velo poggiato. Questo artificio scultoreo, già usato
dai greci della classicità per le veneri e per le vittorie
alate, piaceva molto a don Raimondo
per l'insito significato del "velare" e "svelare",
caro agli iniziati delle scienze occulte ed ermetiche. Sarà
usato infatti anche nel prodigioso Cristo
Morto
del Sammartino.
L'opera fu terminata nel 1751 e sulla base presenta un
"Noli me tangere", in bassorilievo, che
ripropone sempre la tematica del Pudore. Il secondo monumento
funebre che analizzeremo, il Disinganno,
è quello di Antonio de Sangro,
padre del principe, morto nel 1757, che, sconvolto dal
grande dolore per la prematura morte della moglie, si abbandonò
ad una vita errabonda ed inquieta della quale scoperto "l'inganno"
si ritirò a vita monastica abbandonando le cose del mondo ed il
figlioletto Raimondo
al padre don Paolo. Francesco Queirolo,
sempre su suggerimento di don Raimondo,
rappresentò un uomo (don Antonio) che si libera di una rete che
lo avviluppa, lavorando, si dice, in un solo blocco marmoreo,
con una perizia da orafo nell'estrema difficoltà di realizzare
la rete marmorea avviluppata alla figura interna. Un genietto
alato che porta sul capo una coroncina "fiammeggiante"
e che poggia su di un globo ed un libro, simboleggia l'ingegno
"disingannato" che aiuta l'uomo a districarsi
dalla schiavitù della rete viziosa. Il bassorilievo della base
Cristo che ridona la vista al cieco riconferma il concetto della
ritrovata verità. Il Cristo Velato poi
si può ritenere l'opera sintesi di tutta la cappella. Ha sempre
colpito l'immaginazione dei visitatori con la forza di una
suggestione che non subisce variazioni da secoli. Il principe di Sansevero aveva commissionato il grande
Cristo
Morto
con i simboli della Passione (martello, chiodi, tenaglia) al Corradini, ma
essendo morto nel 1752, il suo bozzetto di terracotta,
oggi al museo
di S. Martino,
fu splendidamente realizzato in marmo dal giovane scultore
napoletano Giuseppe Sammartino
che cominciò così la sua luminosa carriera proprio con
quest'opera del 1753.
Nella cripta si trovano, poi, due armadi che contengono due fra
le più incredibili creature che esistano al mondo. Si tratta
delle Macchine
Anatomiche,
due corpi umani cui la mostruosa abilità scientifica del
principe, con un preparato di sua invenzione, ha tolto "l'involucro"
corporeo, metallizzando fin nell'ultimo capillare l'intero
sistema delle vene e delle arterie. Non è noto come sia stato
effettuato né si sa se i due infelici fossero o meno già morti
quando è stato compiuto. Un'altra ipotesi ci dice che si tratta
di una costruzione completamente artificiale ma anche così non
si capisce come si sia potuta realizzare tenendo conto dei mezzi
dell'epoca.
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