Maschio Angioino
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Occupata Napoli, nel 1266,
Carlo
d'Angiò non trovò
adeguata la residenza reale di Castel
Capuano, che pure
era stata resa fastosa ed accogliente da Federico
II, e volle costruirsi una
reggia fortificata, preferibilmente prossima al mare. Scelse una zona fuori le
mura, conosciuta col nome di Campus oppidi, nel cui centro sorgeva una
chiesetta francescana. Il tempietto fu demolito e ricostruito altrove a spese
del sovrano e i lavori della nuova residenza, denominata Castel Nuovo,
furono affidati, secondo i registri angioini, agli architetti francesi Pierre
de Chaulnes
e Pierre
d'Angicourt
anche se il Vasari
assegna il progetto a Giovanni
Pisano. Di schietta
architettura gotica, il maniero fu iniziato nel 1279 e finito nel 1282.
Aveva una pianta quadrilatera irregolare, quattro torri di difesa, alte mura
merlate dalle strettissime feritoie, un profondo fossato che lo circondava
interamente e un ampio portale d'ingresso con ponte levatoio. Carlo
d'Angiò, però, non vi
abitò mai mentre vi si stabilì il figlio Carlo
II, che ordinò radicali
lavori di ampliamento. Altri lavori di ristrutturazione e di abbellimento furono
fatti eseguire da Roberto
d'Angiò detto il Saggio,
che si servì anche dell'opera di Giotto
che lavorò a Napoli dal 1328 al 1333 affrescando, fra
l'altro anche la Cappella Palatina con" Scene del Nuovo e del Vecchio Testamento", opere che oggi non
esistono più, forse distrutte da uno degli innumerevoli terremoti. Anche Boccaccio
visse a Napoli in quegli anni così come Tino
di Camaino
perché Roberto d'Angiò amava circondarsi di artisti e letterati.
Durante il periodo angioino fra le mura di Castel Nuovo si
verificò uno dei più noti eventi della storia medioevale: il "gran
rifiuto" di Celestino
V il 13 dicembre
del 1294. Sempre nelle sue sale, il nuovo conclave elesse il cardinale Benedetto
Caetani che con il nome di Bonifacio
VIII fece rimpiangere
moltissimo il vecchio eremita. Alla morte di Roberto
il Saggio il castello fu
abitato da Giovanna
d'Angiò, descritta dai più
come donna frivola e vogliosa che, fra l'altro non esitò a commissionare
l'assassinio del marito Andrea
d'Angiò,
fratello del re d'Ungheria. Anche la seconda regina di nome Giovanna,
sorella di re Ladislao,
salita al trono nel 1414, fu donna di costumi alquanto "liberi",
la leggenda racconta che facesse uccidere tutti i suoi amanti per evitare che
andassero in giro a parlare male di lei.
Fortunatamente nel 1442 la corona di Napoli fu cinta da Alfonso
d'Aragona detto il
Magnanimo, mecenate di eccezionali virtù; presso la sua corte sorse la famosa
Accademia Pontaniana che coinvolgeva i migliori ingegni di cui disponeva il
Mezzogiorno. Naturalmente Alfonso
d'Aragona ordinò una
radicale ristrutturazione della sua residenza all'architetto aragonese Guglielmo Sagrera
che diede alla costruzione l'aspetto che oggi conserva quasi integralmente.
Ancora oggi si può ammirare la conformazione della sala maggiore, un
miracolo di statica architettonica, alta una trentina di metri, presenta una
copertura a costoloni che, partendo dal centro, si congiungono elegantemente
alle solide mura perimetrali. Questa sala è detta "dei Baroni"
perché nel 1486 Ferrante d'Aragona,
figlio di Alfonso,
vi riunì tutti i baroni del regno per arrestarli in massa. Alfonso fece
inoltre erigere il magnifico arco di trionfo collocato
all'ingresso del castello e ritenuto dagli esperti una delle più belle opere
del Rinascimento italiano. Esistono ben quattro nomi di suoi possibili autori: Guglielmo da Majano,
Luciano Laurana,
il Pisanello
e Pietro da Milano.
Nel corso degli avvenimenti bellici che videro i Francesi contrapposti agli
Spagnoli il castello fu più volte saccheggiato e privato di ogni ricchezza
quindi sopravvisse in un clima di ordinato grigiore per più di due secoli e
solo nel 1734, con l'incoronazione di Carlo di Borbone,
riassunse una certa dignità. L'ultimo avvenimento degno di nota si registrò
nel 1799, quando i Francesi vi proclamarono la costituzione della
Repubblica Partenopea.
Naturalmente come ogni castello che si rispetti, il Maschio
Angioino dispone di
ampi sotterranei e di tetre prigioni; c'è poi una cella detta "Cella
del Coccodrillo" che, racconta la leggenda, si cibava dei nemici dei
regnanti e degli sfortunati amanti della regina Giovanna.