Il Principe di Sansevero
Nato a Torremaggiore
(Foggia) nel 1710 e morto a Napoli nel 1771.
La grande Scuola
Alchemica Napoletana, che
coinvolse e coinvolge studiosi di provato valore scientifico ed operò
importantissime ricerche riguardanti i metalli e le loro proprietà ha il più
noto rappresentante in Don Raimondo di Sangro,
duca di Torremaggiore e principe di Sansevero, tra i massimi
scienziati napoletani, indagatore ostinato ed elegante dei più diversi
segreti della natura. Le sue scoperte spaziano dalla tipografia simultanea a più
colori (irrealizzabile con le cognizioni dell'epoca) alla balistica, alle
proprietà dei metalli, alla decifrazione di linguaggi esoterici usati degli
Indios del Perù, a preparati che indurivano le materie molli
metallizzandole e pietrificandole (alcuni marmi esistenti nella sua celebre
cappella sono di origine alchemica) o rendevano "a freddo"
plastico il ferro e altri metalli.
Grande anatomista, operò una "ricostruzione" delle reti venose del
corpo umano con l'aiuto del suo allievo Salerno.
Ispiratore delle sculture "esoteriche" della citata cappella,
fu Gran Maestro "pentito" della Massoneria napoletana e celò
sotto l'aspetto di "chimico-filosofo" la sua vera identità di
iniziato ed alchimista.
Raimondo
di Sangro divenne principe
di Sansevero molto presto, avendo ereditato il titolo, e le notevoli
rendite che comportava, direttamente dal nonno Paolo, sesto
principe di Sansevero, per la rinuncia al titolo del padre Antonio,
vedovo, che dopo una vita alquanto dissoluta aveva rinunciato ai piaceri mondani
per vestire l'abito sacerdotale, consentendo così al giovane Raimondo
di divenire il settimo principe della casata di Sansevero di Sangro, che
ebbe come capostipite e primo principe (1587)
Gianfrancesco, "Cecco" di Sangro.
L'antichissima stirpe dei conti dei Marsi e di Sangro, vantava una discendenza borgognona dallo stesso
Carlo
Magno; infatti lo stemma
dei di Sangro è lo stemma dei discendenti dei
duchi di Borgogna, che
fondevano le stirpi carolingia, longobarda e normanna. Legatissima al potente
Ordine Benedettino, la Casa di Sangro vanterà, oltre ad abati ed altissimi
prelati, anche i santi Oderisio,
Bernardo
e Rosalia.
Legati da vincoli di parentela con la potente casata furono quattro pontefici: Innocenzo III
(1198-1216),
Gregorio IX (1227-1241),
che istituì la famigerata Santa Inquisizione contro l'ammissione della quale
nel regno di Carlo
di Borbone
si battè proprio il lontano discendente Raimondo di Sangro, Paolo
IV Carafa
(1555-1559) e Benedetto
XIII (1724-1730).
Proprio attraverso S.
Bernardo la Casa si legò
all'Ordine Templare e ciò ci interessa per quanto riguarda il cammino
iniziatico celato nella cappella di famiglia, quella Pietà dei Sangro di
Sansevero, capolavoro dell'ultimo barocco napoletano, voluta dal principe che
rinnovò una precedente cappella come tempio di famiglia, chiamando a Napoli gli
scultori Queirolo
e Corradini
accanto ai napoletani Sammartino,
Celebrano, Persico
e i pittori F. M. Russo
e C.
Amalfi. Artisti che si
limitarono ad eseguire la particolare iconografia ideata dal principe, che fornì
anche marmi e colori "alchemici". Scrive Gennaro Aspreno Galante,
fonte assolutamente attendibile nel 1872 : " ... egli costruì il
cornicione ed i capitelli dei pilastri con un mastice da lui formato che parea
madreperla...". Le bellissime sculture della cappella Sansevero,
che ornano i sepolcri degli antenati, soprattutto dei genitori del principe,
sono perfette espressioni di una simbologia massonica-templare-rosacrociana di
tale pregnanza ed impatto visivo che lasciano, anche nel visitatore profano,
l'impronta indelebile di un "messaggio" che se pur non
recepisce, "avverte" con forza.
Non tutti sanno che la zona sulla quale sorge il tempio della Pietà dei Sangro
faceva parte del quartiere nilense, abitato dagli Alessandrini d'Egitto, dove,
nel tempio, si venerava la statua "velata" della dea Iside.
La cappella, questo fondamentale "Libro di Pietra" della
conoscenza, sorge quindi sul "luogo di forze" scelto dai primi
sacerdoti alessandrini custodi della tradizione egizia di Neapolis. Nel
suo palazzo "legato" da un passaggio aereo (oggi purtroppo
distrutto e dal quale si scendeva nella cappella) il principe volle la sua
officina di alchimista-scienziato, dove sperimentò dall'impermeabilizzazione
dei tessuti a quel Lume Eterno che avrebbe dovuto per sempre rifulgere nella
cripta sotterranea ai piedi del Cristo morto.
Tutta la simbologia del tempio desangriano si ispira all'antica simbologia del Ripa
(uno studioso che aveva fissato i canoni simbolici della Fortuna, Fortezza,
Sapienza, Fede, Astronomia, Matematica, ecc.. Quasi sempre figure femminili con
"oggetti" simbolici come : caducei, cornucopie, fiori, cuori,
fiammelle, libri, compassi, genietti, il tutto rigorosamente spiegato nel suo
testo usato per secoli dagli illustratori e dagli artisti in genere) con "innovazioni"
che l'antico testo iconografico non contemplava come nel caso del Cristo velato.
Purtroppo di quanto era contenuto nella casa del principe di Sansevero (e che si
trova minutamente descritto nelle varie edizioni della "Breve Nota di
quel che si vede in casa del Principe di Sansevero Raimondo di Sangro"
edite tra il 1766 e il 1769 e conservate nella Biblioteca
Nazionale di Napoli, delle quali le prime due, del 1766 e del 1767,
sono introvabili. La stessa famiglia del principe impaurita dalla censura papale
e della "imposta" abiura del principe che consegnò alcuni
elenchi di "fratelli" al pontefice e volendo far placare il
gran rumore che si era fatto intorno a questa "abiura" che fece
temere anche la vendetta di massoni ritenutisi traditi e abbandonati dallo
stesso Gran Maestro, distrussero tutto quanto potesse collegare la memoria di Raimondo
al mondo occulto. Ne fecero le spese tutte quelle realizzazioni scientifiche che
avrebbero potuto di molto affrettare la scoperta di molti ritrovati odierni già
ottenuti alchemicamente dal Sansevero. resta la inquietante testimonianza delle
sue "macchine" anatomiche conservate dal principe in
un'apposita stanza del suo palazzo dall'indicante nome di "appartamento
della fenice" ed oggi in quella cripta ovale, che don Raimondo
aveva prevista imitante una grotta naturale, necessaria per la meditazione degli
apprendisti e poggiante su terra battuta, senza pavimentazione, per non impedire
quelle vibrazioni naturali provenienti dal "luogo" isiaco
sottostante e sorretta da otto ( numero fondamentale della ritualità templare
che si ripete spesso nell'armonia "numerica" della cappella stessa)
pilastri che dovevano definire il posto delle sepolture degli avi intorno al
"mistero Magistrale" del Cristo velato. Queste due preparazioni
sono un vero e proprio "testo" medico-anatomico, costruite su
due scheletri (maschile e femminile) strutturando organi "induriti"
da preparati distillati dal Maestro con "ricostruzioni" di
sostegno ottenute e colorate con materiali "alchemici"
sempre provenienti dall'officina del Sansevero.
Ancora un ultimo accenno allo scomparso passaggio che il principe aveva voluto
per discendere dal palazzo alla cappella, e che presentava sui due lati un
orologio dotato di un particolare impianto di carillon a campane ospitato nel
tempietto rituale (che ancora si trova in alcune, interessanti, costruzioni
antiche), particolare "faro" per indicare "a chi aveva
occhi ed orecchie" il sito iniziatico. Il tempietto era ottagonale ed
otto erano le colonne che ne reggevano la cupoletta; il mirabile meccanismo
ideato dal principe, che vi era nascosto, permetteva di eseguire qualsiasi
motivo percuotendo col pugno una serie di grossi tasti rotondi che
corrispondevano ai vari suoni delle campane. Anche questa meraviglia meccanica
del genio creativo "minore" del principe fu abbattuta dai famigliari
dopo la sua morte per far sedimentare l'imbarazzante ricordo della fama
stregonesca del parente "grande iniziato".