Toto'

Toto'

"Totò" nacque a Napoli da famiglia piccolo borghese e cominciò a calcare i palcoscenici durante la Prima Guerra Mondiale come macchiettista e mimo. Fin dagli esordi impose la sua straordinaria capacità parodistica e la sua disarticolata gestualità; i suoi sketch nascevano in effetti dal connubio fra questi due elementi: una dialettica stravolta, sintatticamente inoppugnabile ma semanticamente assurda, che scherniva la retorica e l'altezzosità e al contempo misurava la goffaggine del sottoproletario che vuol darsi una dignità da borghese rispettabile, o addirittura da aristocratico di alto lignaggio; e un movimento frenetico da marionetta, ereditato dai clown e dai saltimbanchi, che riportava la maschera a dimensioni infantili (il riso beffardo con gli occhi divaricati e le membra scomposte). Mezzo nobile decaduto e mezzo miserabile, Totò condensava secoli e secoli di tradizioni comiche napoletane adattandole a questa sua maschera reale, alla schizofrenia napoletana che di ogni povero fa un aspirante ricco.
Dall'avanspettacolo alla rivista la maschera grottesca di Totò riprese il linguaggio beffardo della comicità popolare, fatto non di barzellette (che presuppongono un sillogismo di stampo intellettuale) ma di lazzi [gli sketch più famosi vennero raccolti in "Totò a colori" (1952) e "Totò all'Inferno" (1954)]. Al culmine della popolarità in teatro, prima dello scoppio della guerra interpretò due pirotecniche saghe dell'umorismo surreale: "Animali pazzi" (1939) scritto dal commediografo Achille Campanile  e "San Giovanni decollato" (1940, Zavattini); "Il ratto delle sabine" (1945) descrive con esuberanza il mondo dei guitti da cui usciva Totò stesso (e che Fellini avrebbe rappresentato in "Luci del varietà"): la fame, la miseria, i bisticci, gli amori, il cinismo degli impresari e del pubblico.
"I due orfanelli" lanciò definitivamente Totò nel cinema.
I produttori misero al suo servizio registi disponibili come Mario Mattoli, Camillo Mastrocinque e Anton Giulio Bragaglia e gli fornirono canovacci consistenti a volte soltanto nel titolo. Totò ci ricamava sopra all'infinito, con un'inventiva e un'esuberanza scatenate. Gran parte dei soggetti riguardavano fatti d'attualità: "Totò al Giro d'Italia" (1948), all'epoca della rivalità Coppi-Bartali; "Totò cerca casa" (1949) [un impiegato statale con famiglia numerosa vaga da un giaciglio all'altro, ma viene sempre sfrattato]; oppure parodie cinematografiche: "Fifa e arena" (1948); "Totò le mokò" (1949"L'imperatore di Capri" (1949, Comencini); "Totò sceicco" (1950 ; "Totò Tarzan" (1949).
Questi film messi in piedi alla meno peggio erano costruiti attorno a temi fissi: i tic teatrali di Totò, una splendida fanciulla di cui il brutto e goffo napoletano s'invaghisce (residuo della soubrette teatrale), la burla nei confronti dell'attualità di massa (per esempio il divismo), l'equivoco (in genere lo scambio di persona).
Totò, sfruttato fino all'osso (tre film nel '48, cinque nel '49), ebbe modo di imporre una maschera di povero asociale, un po' mariuolo, ma furbo e imprendibile, genio nell'arte di arrangiarsi, pronto a derubare la propria madre e indifferente a tutti i codici.
Negli anni Cinquanta Totò si libera del colorito parodismo rivistaiolo e si abbandona a più libere fantasie comiche, prendendo spunto dalla favolistica, dal teatro napoletano e dalle vicende di tutti i giorni e smorzando il cinismo del suo personaggio in un fondo di umana solidarietà: "Guardie e ladri", parabola sul furto e l'onestà, sull'eterna lotta fra il ladro e la guardia (Fabrizi), il primo che ruba per mantenere la famiglia, il secondo che deve catturarlo per conservare il posto, due uomini resi nemici dai rispettivi ruoli sociali, ma che finiscono per stringere amicizia e la guardia, dopo aver consegnato il ladro alla giustizia, continuerà a mantenerne la famiglia.
"47 morto che parla" (1951); "Totò e i re di Roma" (1951, Steno) ; "Un turco napoletano" (1953, Scarpetta + Feydau) ; "Totò e Carolina" (Mattoli, '54"Dov'è la libertà?" (1962, Rossellini) ; "I due marescialli" (1961, Corbucci); "Totò terzo uomo" (1951, Mattoli)
Vengono poi i film in coppia con Peppino de Filippo e le farse corrosive di Steno e Mastrocinque, con Totò che si ripete a soli scopi di cassetta, che ricicla gli stessi canovacci e le stesse situazioni. Il miglior duetto con De Filippo è forse "Signori si nasce" (1960) ; "Letto a tre piazze" (1960, Steno) ; "Totò, Peppino e la malafemmina" (1956, Mastrocinque).
Fra i film degli ultimi anni "I due colonnelli" (1963).
Maschera impareggiabile della commedia dell'arte, eccezionale istrione, straordinario animale da palcoscenico, attore capace di nobilitare con una battuta improvvisata lì per lì sulla scena il più banale dei film, spesso misconosciuto da vivo, riconosciuto grande una volta scomparso.
Dopo un lungo silenzio, la sua impareggiabile comicità, che spazia dal più crudo realismo al surreale, dall'assurdo alla farsa scatenata, è stata riscoperta dal grande pubblico e quell'omino incredibilmente vestito in uno stile pseudo-inglese, quella marionetta snodata e disarticolata è tornato a farci ridere e divertire ma anche a riflettere e meditare.
Totò rappresenta il trasgressore vincente, un eroe dei miserabili che attaccava il Potere, ma soprattutto le convenzioni e i codici di comportamenti e i miti di massa, tutto ciò che era in qualche modo conforme, con la forza della beffa.
La galleria di personaggi proposta da Totò è un affresco universale della miseria: Totò-Cenerentolo che vive ora da principe ora da barbone, Totò-clown che raggira i borghesi con la sua retorica alogica, Totò-martire della società che vuole privarlo della sua fantasia, Totò-criminale che attenta alla società, Totò-umiliato che inneggia alla dignità dell'uomo, Totò che attraversa la Storia da Cleopatra a Coppi, dall'Inferno ad Atlantide, ed è sempre lui, straccione scalognato furbo e dal portamento nobile, Totò che con un'allocuzione smaschera la cattiva coscienza del mondo, Totò-Pulcinella, eroe sottoproletario in piena era borghese, Totò tutto carne e niente spirito, Totò regressione primitivista: il suo volto era il condensato dei secoli di fame, di paura, di miserie, di catastrofi, di quella fabbrica di umanità che è Napoli.